Alla scoperta di Oaktree, il fondo che “tende la mano” all’Inter

“Il più grande investitore al mondo nel settore distressed e uno dei principali nel comparto del credito”. Così Wikipedia presenta Oaktree Capital Management, la società in trattative con la famiglia Zhang per un finanziamento da 275 milioni di euro necessario per pagare le pendenze con i tesserati nerazzurri e consentire al club una navigazione senza troppi intralci nella prossima stagione.

Un colosso che a fine marzo contava asset in gestione per 153 miliardi di dollari, investiti prevalentemente nelle aziende in difficoltà, quelle che hanno urgenza di ottenere finanziamenti, e per questa ragione sono disposte a pagare interessi elevati. Del resto, il 12% annuo di cui si parla in questi giorni come base dell’accordo è una quota elevatissima in epoca di tassi ufficiali a zero, per quanto distante dal 20% del finanziamento di Elliott a Yonghong Li, quando quest’ultimo aveva preso in mano le redini del Milan.

Creata nel 1995, con oltre mille dipendenti tra gli uffici Los Angeles (sede centrale), New York, Londra, Parigi, Dubai, Hong Kong, Tokyo, Pechino, Shanghai e Sydney, Oaktree alle sue spalle ha un altro fondo nordamericano. Si tratta di Brookfield, società canadese che nel 2019 ha raggiunto un accordo per acquisire il fondo in trattative con l’Inter. Oggi ha in mano il 62% del capitale, ma l’accordo prevede nuove acquisizioni negli anni a venire, fino a raggiungere il 100% nel 2029.

Oaktree è già presente nel mercato italiano con varie partecipazioni azionarie, come Conbipel (in amministrazione straordinaria), Mbe Worldwide (Mail Boxes Etc) e Banca Progetto (controllata da Oaktree Capital dal 2015, quando era ancora Banca Lecchese).

Ora tocca al calcio, con un finanziamento a Great Horizon, la società lussemburghese che controlla l’Inter. A garanzia, Zhang dovrebbe cedere in pegno il 62,5% della società. Una tutela per Oaktree, che in caso di mancato pagamento del debito e degli interessi, potrebbe rilevare il club nerazzurro.

Cosa ci fanno i fondi private con un business strutturalmente in perdita come il calcio? L’obiettivo è trasformare i club in media company in grado di autofinanziarsi e non più di assorbire solo capitale, in modo tale da poterle rivendere entro qualche anno con una grossa plusvalenza, considerato che chi investe in questi fondi si attende rendimenti a due cifre percentuali anni.

 

Ci riusciranno? Molto dipende dal prezzo di acquisto: se il debitore “molla” l’asset per impossibilità di pagare o se quanto meno onora le rate salate che si è visto imporre, la scommessa potrebbe riuscire.

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