Il settore finanziario con gli investimenti sostenibili può essere oggi un concreto driver per favorire la transizione energetica e superare la crisi scatenata dalla guerra in Ucraina. È quanto emerge dalla tavola rotonda “Investing in a sustainable future” di Generali Investments, a cui hanno partecipato Santo Borsellino, Head of Governance and Sustainability della business Unit Asset & Wealth Management di Generali, e Alessandra Franzosi, Responsabile Buyside Italy ed ESG Investing di Borsa Italiana, Gruppo Euronext.
Santo Borsellino e Alessandra Franzosi hanno approfondito i temi degli investimenti ESG, confrontandosi su alcune delle tematiche che più di tutte ad oggi necessitano di chiarezza: il futuro degli investimenti ESG e il ruolo delle società di gestione del risparmio. Se, originariamente, gli investimenti sostenibili nascono come prerogativa dei grandi investitori istituzionali di lungo termine (fondi pensione o assicurazioni), come ricorda Franzosi, al giorno d’oggi il trend si conferma in crescita non solo a livello di masse, ma anche di protagonisti. Non più solo grandi player internazionali, ma anche istituzionali mid-size di dimensione più ridotta, fino ad arrivare al risparmiatore finale.
Crescono inoltre gli approcci cosiddetti impact investing in cui l’investitore, oltra a chiedere un’ottimizzazione rischio rendimento, valuta anche gli impatti ambientali e sociali sull’economia reale dei suoi investimenti. Ma come si evolverà questo trend nel futuro? La dinamica che il conflitto in Ucraina ha innescato nel panorama finanziario aiuta a rispondere. La guerra, infatti, ha portato alla luce le problematiche di determinati criteri di esclusione: il settore delle armi, ma anche le fonti di approvvigionamento energetico cosiddette “brown”, in contrapposizione alle rinnovabili.
È qui che entra in gioco la componente politica delle soluzioni ESG. Escludere tout court determinati settori dal proprio orizzonte di investimento diventa un tema delicato nel momento in cui fattori esterni (rischi geopolitici, crisi di approvvigionamento) ne mettono in luce le criticità. La soluzione, continua Borsellino, sta nell’accompagnare la transizione: guardare agli investimenti sostenibili nell’ottica di un orizzonte temporale di medio-lungo termine, che permetta di ammortizzare sia la volatilità di mercato, sia le contingenze puntuali che rischiano di distrarre l’investitore dall’obiettivo finale. “Ci sono momenti in cui devi accompagnare la transizione, soprattutto una transizione più giusta, cioè una transizione che non faccia nascere delle nuove diversità o delle nuove disparità sociali, ma che sia comprensiva”.
In tale contesto, l’active ownership diventa chiave. Se, da una parte, gli screening negativi continuano ad essere un elemento importante nella costruzione di un portafoglio sostenibile, dall’altra l’active ownership assume sempre più rilevanza. Attraverso la proprietà attiva diventa infatti possibile instaurare un dialogo e creare una relazione con le aziende in cui si investe, costruendo insieme un percorso verso una gestione più sostenibile della propria attività: un’alternativa importante rispetto all’uscire – o al non investire affatto – in una società. Lavorare dall’interno, dunque, tanto attraverso il voto in assemblea quanto tramite un dialogo diretto con le aziende in cui si investe. L’intera fase dell’engagement permette infatti di includere nella transizione green anche aziende originariamente guidate da un’attitudine meno sostenibile, conclude Borsellino.