Mercati: materie prime, inflazione e disuguaglianza

Di seguito l’ultimo commento di Alessandro Tentori, Responsabile Investimenti di AXA IM Italia, che si focalizza su materie prime e inflazione.

Dai minimi di marzo, l’indice delle materie prime di Bloomberg si è rivalutato del 35% grazie a un contributo positivo di tutte le categorie. La forte ripresa economica della Cina – che quest’anno dovrebbe crescere addirittura dell’8% – ha influenzato particolarmente il prezzo dei metalli industriali (+42%), anche se per ovvie ragioni è il prezzo del greggio a monopolizzare le headlines. Se tralasciamo l’episodio dei prezzi negativi, legati esclusivamente agli aspetti tecnici della delivery dei futures, il prezzo del WTI è salito dai circa 20 dollari a Marzo 2020 agli attuali 57 dollari al barile. Ovviamente, con l’inversione di tendenza sono cambiate anche le previsioni degli esperti e sono in molti adesso a prevedere un ritorno ai massimi degli ultimi cinque anni (76-77 dollari al barile).

Sul tema dell’inflazione è già stato scritto molto, quindi non vorrei dilungarmi troppo se non per sottolineare ancora una volta la differenza tra l’inflazione attesa e una sorpresa di inflazione. L’effetto base da petrolio atteso per l’estate rientra nella prima categoria e non dovrebbe destare preoccupazione ai policy makers. Il tema degli effetti secondari è invece più complicato e rientra nella categoria di “sorpresa”. È un tema complicato per via del circolo virtuoso tra livello di inflazione e aspettative: Un aumento dell’inflazione oggi, potrebbe aumentare le aspettative per domani e influenzare così l’inflazione di domani, che a sua volta influenzerebbe le aspettative per dopodomani e così via. La stabilità di questo processo dipende in larga parte dall’entità della sorpresa di inflazione e ci sono modelli in cui le aspettative svolgono addirittura una funzione di amplificatore. Non credo che ci siano oggi gli estremi per questa dinamica dei prezzi.

Un tema che, invece, non appare ancora abbastanza frequentemente nella narrazione attuale è quello del legame tra l’inflazione e la disuguaglianza. L’indice soft commodities & livestock è aumentato di circa il 44% dai minimi di giugno e la sua variazione su base annua si attesta a +22% a fine gennaio 2021. Nello stesso periodo, il prezzo del grano è aumentato del 70%. È evidente la forte relazione tra il prezzo di queste materie prime e il prezzo dei beni alimentari calcolato dalle Nazioni Unite, che a gennaio è aumentato dell’11% su base annua. Ovviamente, l’effetto sul bilancio famigliare sarà tanto più accentuato, quanto più modesto sarà il reddito. Se quindi il problema della sussistenza è stato risolto nelle economie avanzate, come ipotizzato dall’economista Francese Thomas Piketty, esso rimane una fonte di attrito sociale nelle economie emergenti e di frontiera. Prendiamo una nazione come la Nigeria, che con quasi 2 milioni di barili al giorno è l’ottavo più grande esportare di petrolio al mondo, ma dove il reddito pro capite è di appena 2149 dollari, cioè neanche un quinto della media mondiale e appena il 6% della media della Unione Europea. La doppia fonte di disuguaglianza – cioè il simultaneo aumento del prezzo del greggio e delle soft commodities – si commenta da se. E se non bastasse, possiamo sempre fare riferimento alla crisi alimentare del 2007/2008 quando si assistette a una serie di rivolte sociali nelle economie a basso reddito, a causa del forte e veloce rialzo dei prezzi del grano e del riso.

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