“La disruption è ovunque. Nei processi strutturali di lungo periodo – basti pensare ai fenomeni della digitalizzazione, della deglobalizzazione e della demografia, insieme alla decarbonizzazione dell’economia mondiale – ma anche in questioni più attuali, come gli eventi geopolitici e le decisioni di politica monetaria, o la nutrita serie di elezioni previste in tutti i continenti nel 2024. In aggiunta c’è l’inflazione, destinata a rimanere più elevata più a lungo, che intaccherà il potere di acquisto e il patrimonio delle persone”. A farlo notare è Hans-Jörg Naumer, Director Global Capital Markets & Thematic Research di Allianz Global Investors, che di seguito spiega nei particolari la view.
È significativo come i rischi trovino maggiore spazio nelle notizie dei media. L’indice del rischio geopolitico (GPR), che analizza la stampa quotidiana sui media principali alla ricerca di notizie sui rischi geopolitici, è diminuito dai tempi dell’invasione dell’Ucraina, ma si attesta ancora su livelli molto elevati ad esempio per gli Stati Uniti e l’Ucraina. Lo stesso vale per gli articoli su questioni economiche che possono alimentare l’incertezza.
Finora questi esempi di disruption sembrano aver avuto scarsa influenza sui mercati finanziari, se non per l’elevato aumento della volatilità nel comparto obbligazionario, come indica l’indice Move. I mercati azionari presentano una volatilità decisamente inferiore, anche se l’inizio del nuovo anno non è stato dei migliori. Un quadro insolito. L’incongruenza in termini di volatilità potrebbe essere ascrivibile alla politica monetaria e all’andamento dell’inflazione.
In ogni caso, il nostro “complacency indicator”, che confronta la volatilità del mercato azionario USA con i rapporti prezzo/utili (P/E) basati sugli utili attesi tra 12 mesi, mostra una considerevole “compiacenza”. In base ai sondaggi dell’American Association of Individual Investors presso gli investitori privati statunitensi, nelle ultime settimane la percentuale di investitori ottimisti (cioè propensi al rischio) è nettamente aumentata. Gli indicatori della Banca Centrale Europea (BCE) e delle banche centrali regionali statunitensi di St. Louis, Kansas e Chicago mostrano una diminuzione (in alcuni casi molto netta) dei livelli di stress nel sistema finanziario, che si evince anche dalla riduzione dei premi per il rischio di default in ambito creditizio.
Questa “compiacenza” dei mercati finanziari appare sorprendente alla luce della disruption in atto.
Fortunatamente, gli indicatori economici sono in qualche misura migliorati e il mercato del lavoro USA sembra andare verso la normalizzazione. Non si può ancora escludere del tutto una recessione negli Stati Uniti, ma crescono le speranze di averla evitata.
Sui mercati finanziari prosegue la ricerca di stabilità e rendimento in tempi di disruption. Il mantenimento del potere di acquisto resta la questione principale, dato che l’inflazione potrebbe farci compagnia ancora a lungo.
Tre importanti considerazioni per gli investitori
- Ora che l’era dei tassi di interesse bassi/negativi è terminata, le obbligazioni sono tornate ad essere un asset class in cui investire.
- In base ai nostri calcoli, negli ultimi mesi la correlazione tra azioni e obbligazioni è diminuita. Su base annua non è ancora negativa, ma si avvicina allo zero. Quindi le obbligazioni possono nuovamente contribuire a diversificare i rischi all’interno di una soluzione multi asset. In caso di shock per l’economia mondiale, le obbligazioni dovrebbero essere in grado di offrire protezione ai portafogli.
- Le azioni potrebbero invece contribuire a una performance di portafoglio che contrasti l’inflazione. E non deve essere sottovalutato l’effetto stabilizzante dei dividendi. I dividendi non possono certo annullare la relazione tra (maggiore) rischio e (maggiore) rendimento, tuttavia, come evidenziato nella 12° edizione del nostro Dividend Study, le aziende tendono ad essere piuttosto affidabili nelle loro politiche di distribuzione, con una volatilità dei dividendi trascurabile.
Il quadro descritto suggerisce la seguente allocazione tattica sui mercati azionari e obbligazionari:
- Gli analisti adeguano le stime di utili agli sviluppi sul fronte economico. Le revisioni al ribasso delle attese (downgrade) sono nella norma. È piuttosto frequente che le aspettative sugli utili aziendali vengano ridotte nel tempo. Tuttavia, esiste una forte divergenza a livello settoriale.
- Le aziende statunitensi ed europee sembrano in grado di mantenere margini stabili anche se il volume d’affari si assottiglia. L’evoluzione sul fronte dei salari e il probabile aumento degli oneri finanziari lasciano tuttavia prospettare possibili pressioni sui margini.
- In presenza di valutazioni in alcuni casi piuttosto ambiziose, le azioni potrebbero andare incontro a qualche difficoltà.
- La selezione titoli dovrebbe essere premiante. A fronte di politiche monetarie restrittive e tassi di crescita più modesti, la scelta dovrebbe ricadere su società che presentano un’elevata generazione di cash flow e bilanci solidi.
- Sul fronte obbligazionario possiamo chiaramente affermare che “bonds are back”: le obbligazioni sono tornate. Benché sia tuttora difficile sconfiggere l’inflazione e quindi preservare il potere di acquisto, l’era dei rendimenti bassi/negativi è finita.
- Quanto alla politica monetaria, il picco dei tassi sembra ormai raggiunto, anche se i tassi di riferimento delle grandi banche centrali dovrebbero rimanere alti più a lungo di quanto si aspettino i mercati.
- Nel complesso sembra occorra ancora prudenza con gli asset rischiosi in ottica tattica/a breve termine.
Tema di investimento
- La disruption assume forme diverse – deglobalizzazione, digitalizzazione, dinamiche demografiche o decarbonizzazione – ma è ovunque. È qui che entrano in gioco i dividendi. Non bisogna sottovalutare il loro effetto stabilizzante sulla performance complessiva di un portafoglio azionario.
- In base ai nostri calcoli, di norma i dividendi forniscono un notevole contributo al rendimento complessivo delle azioni. Negli ultimi 40 anni, i dividendi hanno rappresentato oltre un terzo della performance complessiva delle azioni europee.
- Le aziende tendono a mantenere la propria politica di distribuzione e ad aumentare piuttosto che a diminuire i dividendi, anche quando la crescita degli utili rallenta.
- In passato, le azioni delle società che distribuiscono dividendi si sono rivelate meno volatili rispetto a quelle delle aziende che non li distribuiscono.
- La regola è semplice. I corsi azionari sono più volatili degli utili societari. Gli utili societari sono più volatili delle distribuzioni di dividendi.