L’imminente arrivo dei PEPP, i prodotti pensionistici individuali paneuropei, potrebbe aumentare le dimensioni del mercato europeo della previdenza complementare di 700 miliardi di euro, secondo uno studio di fattibilità commissionato dall’Unione Europea.
Per l’Italia, l’impatto non sarà soltanto in termini di concorrenza con i prodotti nazionali esistenti, ma rileverà anche sul piano normativo e fiscale. Per approfondirne i termini, Assoprevidenza ha acceso i riflettori sul tema, con un webinar di esperti e addetti ai lavori.
I PEPP potranno essere registrati in Italia a partire dal 22 marzo prossimo, ma solo se, in allora, sarà già in vigore il decreto legislativo di adeguamento della normativa italiana al regolamento europeo, a cui il MEF sta lavorando. Il decreto, comunque, va emanato entro il termine ultimo dell’8 maggio.
La principale caratteristica dei PEPP è la libera portabilità in tutta l’Unione, indipendentemente dalla nazionalità di istituzione. In tema di previdenza complementare, in Europa vi è disomogeneità tra i diversi Paesi sia per il diverso peso del pilastro pensionistico pubblico, sia per le modalità di adesione, volontaria (come in Italia) oppure obbligatoria o sostanzialmente tale (come in Olanda).
“Per questo motivo – sottolinea Giovanni Di Marco, Partner di Deloitte – l’Unione ha ideato una soluzione per l’integrazione pensionistica che abbia caratteristiche uniformi su tutto il suo territorio. Ci troviamo di fronte a una sfida importante per le nostre compagnie di assicurazione, sgr, banche e fondi pensione: affermarsi in un mercato più ampio dando modo di diversificare ulteriormente l’offerta di prodotti di risparmio, acquisire nuovi clienti o rafforzare legami esistenti, creare nuove partnership con altri Stati membri e ipotizzare economie di scala”.
Secondo Luigi Di Falco, head of life and pensions di ANIA, l’associazione delle compagnie assicurative, “il progetto PEPP è un rispettabile tentativo di armonizzare il risparmio previdenziale individuale in Europa, introducendo un nuovo prodotto verso cui vi sia una graduale, progressiva convergenza di operatori e aderenti. Trattandosi di una modalità di offerta articolata, che implica capacità di gestire posizioni previdenziali in più Paesi e con un target di clientela propenso alla mobilità professionale all’interno dell’Unione, riteniamo che lo sviluppo dei PEPP sarà piuttosto graduale e potrà prendere piede nel medio-lungo termine. In ogni caso, le compagnie italiane faranno la loro parte nella promozione di PEPP assicurativi”.
Per Maurizio Bertini, Partner di Deloitte, “i PEPP rappresentano un’opportunità per entrare in nuove aree di mercato e rafforzare la presenza a livello internazionale: alcuni player europei, tra cui fintech e grandi società di asset management, hanno già manifestato l’interesse per questa tipologia di prodotti”.
“In attesa di conoscere la normativa italiana – afferma Bertini – bisognerà ragionare sulle posizioni che si vorranno assumere sia per cavalcare questa opportunità, migliorando l’offerta esistente con prodotti digitali appetibili per i risparmiatori più giovani, portabili e collocabili anche extra-confine, sia per difendere la posizione di mercato sul territorio nazionale”.
Ivonne Forno, tecnico di Assoprevidenza, vede i PEPP come “una potenziale ulteriore forma pensionistica a cui i lavoratori potranno scegliere di aderire, soprattutto quelli più giovani e abituati all’uso dei sistemi digitali”. Per questo, secondo Forno, soprattutto i fondi pensione negoziali dovrebbero puntare a rafforzarsi sul piano organizzativo e strutturale – anche attraverso accorpamenti e fusioni – e a fidelizzare gli aderenti.
Ma oltre alla competizione interna, l’introduzione dei PEPP, secondo Fabio Marchetti dell’Università Luiss, “potrebbe comportare una concorrenza dei PEPP esteri tanto nei confronti degli ‘italiani’ quanto delle forme individuali di previdenza complementare domestiche (fondi aperti, PIP) a causa del diverso regime fiscale cui i PEPP esteri potrebbero essere assoggettati (nessuna tassazione dei rendimenti finanziari in fase di accumulo, secondo lo schema EET). Ciò dovrebbe indurre il legislatore italiano a ripensare la disciplina fiscale della previdenza complementare sostituendo l’attuale regime ETT con il regime EET”.
Sergio Corbello, Presidente di Assoprevidenza, mette l’accento proprio sulle incognite normative, “da sciogliere a breve”, che ancora gravano sui PEPP. “È da auspicare – sostiene – che il legislatore, il quale, ragionevolmente, estenderà ai PEPP la normativa fiscale dei fondi pensione, colga l’occasione per eliminare la stortura della tassazione dei rendimenti conseguiti in fase di accumulo, abolendola”.
Secondo Elena Moiraghi, responsabile del servizio legale della COVIP, l’Autority che avrà il ruolo principale nella vigilanza sui PEPP, non solo su quelli italiani ma anche quelli esteri che apriranno un sottoconto in Italia, è fondamentale far sì che la normativa nazionale non crei delle condizioni di arbitraggio rispetto al sistema, ma che tra la disciplina dei PEPP e quella delle forme pensionistiche complementari esistenti ci sia sempre una “omogeneità”.